L'analisi grammaticale è la descrizione delle 9 parti del discorso e delle loro caratteristiche. Non la si può fare se non si conoscono le parti del discorso (morfologia). Per questo vengono presentate le seguenti informazioni...

SELEZIONA L'ARGOMENTO NELLA TABELLA QUI SOTTO

VERBO: significato VERBO: coniugazione VERBO: forma
AGGETTIVO NOME
PRONOME ARTICOLO
PREPOSIZIONE AVVERBIO
INTERIEZIONE CONGIUNZIONE
1. VERBO

È la parte variabile del discorso che esprime un'azione nel tempo, ma anche un modo di essere o un fatto. Un verbo può essere considerato sotto 3 aspetti: 

  • A) SIGNIFICATO
  • B) CONIUGAZIONE
  • C) FORMA

A) SIGNIFICATO

Dal punto di vista del significato i verbi possono essere 1) transitivi o 2) intransitivi

1) Verbi transitivi

Sono verbi che esprimono un'azione che passa direttamente dal soggetto all'oggetto: Marco (soggetto) legge (verbo transitivo) un libro (complemento oggetto). Il complemento oggetto a volte può mancare ma il verbo rimane transitivo: Mario legge. Un verbo transitivo può essere: attivo, passivo, riflessivo.

  • Il verbo è attivo quando il soggetto "agisce", compie l'azione: Luigi ama.
  • Il verbo è passivo quando il soggetto "patisce", subisce l'azione: Luigi è amato. Un verbo attivo si può rendere passivo in due modi:
    • mettendo prima del participio passato del verbo le voci dell'ausiliare essere (o, qualche volta, venire): Io amo (attivo) => Io sono amato (passivo); Io lodo => Io sono o Io vengo lodato;
    • mettendo prima del verbo (ma solo nella terza persona singolare e plurale) la particella pronominale si: Da parte di tutti si biasima (cioè: è biasimata, viene biasimata) la tua negligenza. In questo caso il si prende il nome di "particella passivante".
      Ogni proposizione attiva può trasformarsi in passiva tramutando l'oggetto in soggetto: Carlo ama Maria (forma attiva) => Maria è amata da Carlo (forma passiva); e viceversa naturalmente.
  • Il verbo è riflessivo quando l'azione compiuta dal soggetto si "riflette", cioè ricade, sul soggetto stesso: Luigi si loda (cioè: Luigi loda se stesso). La forma riflessiva di un verbo transitivo si ottiene mettendo prima del verbo le particelle pronominali mi, ti, si, ci vi, si, con funzione di complemento oggetto: 
    attiva
    io lavo
    tu lavi
    egli lava

    passiva
    io mi lavo (=io lavo me)
    tu ti lavi (=tu lavi te)
    egli si lava (=egli lava sé)

    Le particelle pronominali si mettono invece dopo, fondendole col verbo, nell'imperativo presente (làvati), nel gerundio (lavandoti), nell'infinito (lavarti).
    Si dice, inoltre, riflessiva apparente quella forma in cui le particelle mi, ti, si, ecc. non hanno funzione di complemento oggetto ma di complemento di termine, non hanno cioè il valore di: me, te, sé, ecc. ma di: a me, a te, a sé, ecc. Ad esempio:

    • Io mi lavo: qui mi ha valore d'oggetto (=io lavo me) e la forma è riflessiva;
    • Io mi lavo le mani: qui mi ha valore di complemento di termine (=io lavo le mani a me) e la forma è riflessiva apparente.
2) Verbi intransitivi

Sono quelli che esprimono un'azione che non passa a un oggetto ma resta ferma nel soggetto: Mario corre; Il sole brilla; Il cane abbaia. È bene ricordare che:

  • i verbi intransitivi hanno solo la forma attiva;
  • alcuni verbi di natura intransitiva possono assumere anche un valore transitivo: Carla piange (intr.) / Carla piange lacrime amare (trans.);
  • alcuni verbi intransitivi, pur essendo accompagnati dalle particelle pronominali mi, ti, si, ecc., non sono riflessivi: si dicono intransitivi pronominali (vergognarsi, pentirsi, lamentarsi, accorgersi, ecc.). Perciò le frasi: Io mi vergogno, Tu ti lamenti, Egli si adira, ecc. non sono riflessive ma intransitive pronominali. Per poter distinguere con certezza una forma riflessiva da una pronominale basta tener presente che nella forma riflessiva le particelle mi, ti, si, ecc., si possono sostituire con i pronomi me, te, se, ecc., cosa che non è invece possibile nella forma intransitiva pronominale. Così, ad esempio, se diciamo: Io mi bagno, possiamo trasformare la frase in: Io bagno me; se invece diciamo: Io mi vergogno, non posso trasformarla in: Io vergogno me, e si tratta quindi di una forma intransitiva pronominale.
Una speciale categoria di intransitivi, infine, è quella dei cosiddetti verbi impersonali, che indicano condizioni atmosferiche, e che si usano prevalentemente alla 3a persona singolare: annotta, albeggiava, piove, nevicherà, ecc. Ma possono essere usati impersonalmente anche altri verbi (come: accadere, succedere, bastare, bisognare, occorrere, importare, parere, ecc.) unendoli alle particelle pronominali mi, ti, si, ci, vi, gli, le. Es.: Mi succede ogni giorno; Non bisogna farlo; Non gli importa nulla. Ci sono infine verbi impersonali che possono, in certi casi, divenire personali: Fioccano quattrini; Piovono legnate; Tuona il cannone

 


B) CONIUGAZIONE

Il verbo è la parte più "flessibile", più mutevole del linguaggio. Una parte però, la prima, resta sempre uguale (è la radice); a cambiare è l'altra, la seconda (la desinenza). Es: Cantare: Cant = radice, are = desinenza. Quest'ultima può cambiare secondo la:

  • PERSONA: La prima persona indica chi parla (io, noi); la seconda persona a chi si parla (tu, voi); la terza persona di chi si parla (egli, loro).
  • NUMERO: Può essere singolare (io, tu, egli) o plurale (noi, voi, essi).
  • TEMPO: Indica il tempo passato, presente o futuro in cui l'azione è accaduta, accade o accadrà. Ci sono tempi semplici e composti.
    • I tempi semplici sono quelli formati solo dalla voce verbale, qualunque sia il modo a cui appartengono.
    • I tempi composti sono quelli formati con l'"ausilio", l'aiuto, degli ausiliari essere o avere, più il participio passato del verbo.
  • MODO: Indica la maniera, il "modo" in cui l'azione del verbo viene espressa. Ci sono quattro modi finiti, cioè che esprimono l'azione in maniera determinata: indicativo, congiuntivo, condizionale, imperativo; e tre modi indefiniti, cioè che esprimono l'azione in maniere indeterminata, senza distinzione di persona: infinito, participio, gerundio.
     
    • Modi finiti
      1. Indicativo: è il modo della certezza: Vado a casa (= è sicuro che ci vado); Pioveva a dirotto (= non ci sono dubbi sul fatto che pioveva), ecc.
      2. Congiuntivo: è il modo della probabilità: È ora che io vada a casa (= ci andrò quasi certamente, fra un po', ma per ora è solo un proposito); È meglio che tu faccia i compiti (= non li stai facendo, li farai, spero); ecc.
      3. Condizionale: è il modo che subordina una azione ad una condizione: Se tu studiassi, saresti promosso (cioè: sarai promosso se studierai); Potendo, lo aiuterei (cioè: lo aiuterei, se potessi)
      4. Imperativo: è il modo dell'esortazione, della minaccia e soprattutto dell'ordine: Studia la lezione!; Parlate, o peggio per voi!. Può avere, ovviamente, solo la 2a persona singolare e plurale, perché un comando si rivolge solitamente ad altri e anche se fosse rivolto a se stessi si considererebbe sempre rivolto a seconda persona: Allora mi dissi: su, studia!. Tuttavia può esserci un imperativo nella 1a persona plurale: Andiamo a casa!. Alla 3a persona non ci si rivolge con ordini ma con desideri, perciò non si hanno vere e proprie forme di imperativo bensì di congiuntivo che servono come imperativi: Venga avanti; Prego, si accomodino.
    • Indefiniti
      1. Infinito: è il modo che esprime l'azione in maniera generica, senza specificare né il numero né la persona.
      2. Participio: è il modo che fa dell'azione un attributo del nome, cioè "partecipa" della doppia natura di verbo e aggettivo: Libro stampato; La scala appoggiata al muro; Luna calante. Il participio presente, come forma verbale pura, è ormai rarissimo; è comune invece come aggettivo (pesante, dolente, ridente); o anche come sostantivo (brillante, studente, insegnante). Il participio passato è comunissimo e può avere anch'esso la triplice funzione di verbo, aggettivo, sostantivo: Ho finito di leggere il romanzo (verbo); Nel vaso ci sono pochi fiori appassiti (aggettivo); Il ferito si lamentava (sostantivo). Tanto il participio presente che quello passato possono essere usati "assolutamente" e allora prendono il nome di participio assoluto: Regnante (= mentre regnava) Carlo VIII, il popolo si ribellò; Calata (= dopo che fu calata) la tela, gli spettatori applaudirono.
      3. Gerundio: è il modo che esprime l'azione come riferita a un'altra azione, espressa o sottintesa: Sbagliando (presente) s'impara; Avendo mangiato (passato) troppo, mi sentii male. Anche il gerundio, come il participio, può usarsi "assolutamente": Tempo permettendo, partirò.
Tutti i verbi della lingua italiana sono suddivisi in tre coniugazioni sulla base della desinenza dell'infinito presente: -are = 1a coniugazione; -ere = 2a coniugazione; -ire = 3a coniugazione. Vediamo ora le particolarità di ciascuna coniugazione. 

1a coniugazione

  • I verbi con l'infinito in -care e -gare per mantenere alla c e alla g il suono gutturale, cioè duro, mettono una h davanti alla desinenza che inizia per i o e: mancare => mancherò; pagare => pagherete, paghino.
  • I verbi con l'infinito in -ciare, -giare, -sciare, perdono la i della radice quando questa viene a trovarsi davanti a desinenze che iniziano con e o con i, e questo perché la i di -ciare, -giare, -sciare è un puro segno ortografico per dare alla c e alla g della radice il suono palatale. Perciò: baciare=>bacio, baciarono, ma:bacerete, NON: bacierete; mangiare=>mangio, mangiano, ma: mangereste, e NON: mangiereste; lasciare=>lascio, lasciate, ma: lascerai, e NON: lascierai.
  • I verbi con l'infinito in -gliare perdono la i della radice (vegli-are, sbagli-are) davanti alle desinenze inizianti con i. Perciò: sbagliare=>sbagl-iamo, NON: sbagli-iamo; vegliare=>vegl-iamo, NON: vegli-iamo.
  • I verbi con l'infinito in -gnare conservano la i della desinenza in -iamo e -iate. Perciò: noi sogn-iamo, che noi sogn-iamo, che voi sogn-iate.
  • I verbi con la 1a persona singolare dell'indicativo presente in -ìo (cioè con la i tonica, ad es.: io avvio) conservano sempre la i della radice anche quando questa perde l'accento: avviare => avvio, avviano, avvieranno, ecc. La perdono invece sempre davanti alle desinenze inizianti con i, quando la i della radice non è accentata: voi avvi-ate, ma:che voi avv-iate.
  • I verbi con la 1a persona singolare dell'indicativo presente in -io (cioè con la i àtona, ad es.: io graffio) perdono sempre la i della radice davanti a desinenze inizianti con i:io graffi-o, ma: che essi graff-ino;io studi-o, ma: che essi stud-ino.
2a coniugazione
  • I verbi con l'infinito in -cere e -gere, davanti alle desinenze con a o con o cambiano la c e la g dolce in gutturale: tu vinci, noi vinceremo, ma: io vinco, che tu vinca; tu spingi, noi spingiamo, ma: io spingo, che tu spinga. Fanno eccezione i verbi cuocere e nuocere che conservano sempre la i palatale: io cuocio, che tu cuocia.
  • I verbi con l'infinito in -gnere (così come quelli della 1a coniugazione in -gnare) conservano la i della desinenza in -iamo e -iate: noi spegn-iamo, che noi spegn-iamo, che voi spegn-iate.
3a coniugazione
  • Molti verbi di questa coniugazione inseriscono tra la radice e la desinenza della 1a, 2a e 3a persona singolare e della 3a plurale del presente indicativo, congiuntivo e imperativo, il gruppo -isc (ardire=>ard-isc-o, ard-isc-i, ard-isc-ono). Alcuni verbi hanno entrambe le forme: aborro / aborrisco; inghiotto / inghiottisco, ecc.
  • Alcuni verbi di questa coniugazione hanno un doppio participio presente: in -ente e in -iente: dormente / dormiente, ecc.

C) FORMA

Abbiamo già visto che il verbo è costituito da due parti: una, immutabile, che si chiama radice; e una che cambia secondo i modi, i tempi, le persone e i numeri, e si chiama desinenza. I verbi che rispettano questo schema si dicono regolari, e sono la maggioranza; ma ci sono anche verbi che si discostano da questa norma e sono detti irregolari

Verbi regolari

Caratteristica di questi verbi è che nel passato remoto e al participio passato l'accento tonico non cade sulla radice ma sulla desinenza: am-ài, cred-èi (o cred-ètti), serv-ìi; am-àto, cred-ùto, serv-ìto

Verbi irregolari

Si dividono in 3 gruppi:

  1. forti: sono irregolari solo nel passato remoto (1a e 3a persona singolare e 3a plurale) e nel participio passato. Appartengono quasi tutti alla 2a coniugazione. Es.:
    ardere: io arsi, egli arse, essi arsero; participio passato: arso;
    dividere: io divisi, egli divise, essi divisero; participio passato: diviso;
    mettere: io misi, egli mise, essi misero; participio passato: messo;
    nascondere: io nascosi, egli nascose, essi nascosero; participio passato: nascosto; ecc.
  2. anomali: traggono le loro forme verbali da temi diversi o alterati dalla coniugazione. Es.: andare: io vado; dare: io diedi; cadere: io cadrei; sedere: io mi siedo, o: io mi seggo; potere: io posso, io potrò; dovere:io devo, o: io debbo; cuocere: cotto; morire: io muoio; salire: io salgo; ecc.
  3. difettivi: "difettano", cioè mancano di alcune forme nelle persone, nei modi, nei tempi. Es.: competere (non ha participio passato e quindi manca di tutti i tempi composti); solere; ecc.
Ricordiamo infine cinque verbi che possono essere usati in modo particolare: due Ausiliari e tre Servili

Ausiliari: si dicono "ausiliari" i verbi essere e avere quando aiutano gli altri verbi a formare i tempi composti: Ho mangiato un panino; Sono andato a casa. Vogliono l'ausiliare avere i verbi transitivi attivi (Ho mangiato una mela, Lo avevo visto); vogliono l'ausiliare essere i verbi nella forma passiva (Io sono amato; Siamo stati serviti subito). I verbi intransitivi possono avere l'uno o l'altro ausiliare. I verbi che indicano le condizioni atmosferiche richiedono in genere essere (È piovuto) ma possono concordare anche con avere (Ha appena smesso di piovere). 

Servili: sono detti così i tre verbi: dovere, potere, volere quando sono usati al servizio dell'infinito di un altro verbo: Devo andare; Non posso dormire; Voglio mangiare. Attenzione: nei tempi composti i verbi servili vogliono, di regola, l'ausiliare del verbo che essi "servono": Sono dovuto andare (perché: sono andato); Saresti potuto venire (perché: sono venuto); Abbiamo voluto dirtelo (perché: abbiamo detto).
 

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2. NOME

Di solito i nomi, o sostantivi, possono essere considerati sotto tre aspetti: la SPECIE, il GENERE e il NUMERO

SPECIE
Dal punto di vista della specie i nomi possono essere concreti (pane), astratti (giustizia), comuni (casa), o propri (Giorgio). 

GENERE
Per quanto riguarda il genere i nomi italiani possono essere soltanto maschili o femminili, perché manca nella nostra lingua il neutro (presente nella lingua latina, ad esempio, o in quella tedesca). Tuttavia il passaggio da maschile a femminile non sempre è facile. Certo, ci sono nomi a cui basta cambiare la vocale terminale per ottenere il cambio di genere: bambino / bambina; figlio / figlia, ecc. Ma direttore diventa direttrice, poeta diventa poetessa, e vigile rimane vigile (un vigile, una vigile). Le regole che governano questa trasformazione sono molte e, tutto sommato, nell'incertezza conviene consultare il dizionario. Possiamo però ricordare alcuni gruppi di nomi particolari. 

  • equivoci: sono nomi di genere femminile che possono essere usati anche riferiti ai maschi (spia, guida, guardia, staffetta, ecc.). Soprano e contralto, invece, sono di genere maschile ma indicano qualità vocali femminili.
  • promiscui: sono nomi che hanno una sola forma tanto per designare il maschile quanto il femminile. In gran parte sono nomi di animali: canguro, corvo, delfino, falco,ecc.; oppure: tigre, iena, mosca, ecc.
  • comuni: sono nomi che hanno un'unica forma per il maschile e il femminile, e per distinguerli si deve guardare l'articolo: un artista, un'artista; il nipote, la nipote; un insegnante, un'insegnante; il vigile, la vigile; ecc.
  • difettivi: sono nomi che hanno due forme nettamente diverse per i due generi: uomo/donna; maschio/femmina; marito/moglie; padre/madre; bue/mucca; montone/pecora; celibe/nubile; ecc.


NUMERO
Per quanto riguarda il numero, va da sé che le possibilità sono ristrette a due: singolare o plurale. Ma ci sono alcuni gruppi di nomi particolari.

  • indeclinabili: sono i nomi che hanno una sola forma sia per il singolare che per il plurale: la/le virtù, la/le crisi, il/i falò, la/le specie, il/i re, ecc.
  • difettivi: sono i nomi che mancano del singolare (nozze, occhiali, pantaloni, stoviglie, ecc.) o del plurale (buio, ecc.).
  • sovrabbondanti: sono i nomi che hanno due plurali (lenzuolo -> lenzuoli, lenzuola), spesso con significato diverso. Ad esempio: ciglio (cigli =  i cigli della strada; ciglia =  le ciglia degli occhi); dito (diti =  i diti indici, dita =  le dita di una mano), membro (membri =  i membri di una associazione, membra =  le membra del corpo umano), osso (ossi =  gli ossi per il cane, ossa =  le ossa del corpo), ecc.
Più in generale, a proposito dei nomi, possiamo ricordare alcune particolarità. 

Nomi di persona

I nomi propri non vogliono l'articolo (Mario, NON: il Mario; Giovanna, NON: la Giovanna). Inoltre il nome deve sempre precedere il cognome (Mario Rossi, NON: Rossi Mario). Le donne sposate firmano prima col proprio cognome poi con quello del marito. Es.: se Maria Rossi ha sposato Antonio Bianchi firmerà: Maria Rossi Bianchi

Alterazione dei nomi (e degli aggettivi)

Consiste nell'aggiunta al tema del nome, o dell'aggettivo qualificativo, di un suffisso che ne àltera il significato. I nomi e gli aggettivi che subiscono questa aggiunta si dicono alterati. L'alterazione può dare origine ad un:

Accrescitivo: -one -otto -occio ... 
Diminutivo: -ino -etto -ello ...
Vezzeggiativo: -ino -uccio -olino ...
Peggiorativo: -accio -astro -ucolo ... 
Plurale dei nomi

Non sempre esistono regole precise e universalmente accettate. Vediamo alcuni casi.

  • Plurale dei nomi in -io. S'intendono qui solo le parole con -io atona (studio, premio, ecc.) perché le parole con -ìo tonica (calpestìo, pigolìo, ecc.) hanno la i appartenente alla radice della parola (calpesti-o, pigoli-o) e dunque aggiungono regolarmente al plurale la desinenza i (calpestii, pigolii). In genere oggi si preferisce il plurale "semplificato", cioè: studio -> studi (e non studii); vizio -> vizi (e non vizii), lasciando la doppia i (ii) in quei casi in cui è possibile un equivoco: principio -> principii (per distinguerlo da prìncipi, plurale di principe); omicidio -> omicidii (per distinguerlo da omicidi, plurale di omicida); arbitrio -> arbitrii (per distinguerlo da àrbitri, plurale di arbitro); ecc.
  • Plurale dei nomi in -cia e -gia. Quando la i è accentata (farmacìa) rimane anche nel plurale (farmacìe). Quando la i è àtona ci sono due possibilità: se -cia e -gia sono precedute da una vocale, la i resta, altrimenti no. Quindi: audacia -> audacie(perché in audacia la sillaba -cia è preceduta dalla vocale a), camicia -> camicie, grigia -> grigie. Invece: minaccia -> minacce (perché in minaccia la sillaba -cia è preceduta dalla consonante c), faccia -> facce, pioggia -> piogge; e naturalmente: fascia -> fasce, striscia -> strisce, ecc.
  • Plurale dei nomi in -co e -go. Non esiste purtroppo una regola universale: affresco -> affreschi (ma: medico -> medici); chirurgo -> chirurghi (ma: asparago -> asparagi); ecc. Nell'incertezza, meglio consultare il dizionario.

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3. ARTICOLO

È la parte variabile del discorso che si mette davanti al nome per precisare il genere e il numero (il gatto, la gatta, i gatti, le gatte). Può essere di due specie: determinativo quando indica una cosa in particolare (ilgatto), indeterminativo quando è generale (un gatto). 

determinativo   masch. sing.: il, lo   femm. sing.:la
            masch. plur.: i, gli   femm. plur.: le

indeterminativo  masch. sing.: un, uno femm. sing.: una

È bene ricordare che:
  • Si usano gli articoli lo, gli, uno davanti alle parole che iniziano con:
    • "impura" (cioè quando è seguita da una o più consonanti): lo spago, gli spaghi, uno spago
    • lo zaino, gli zaini, uno zaino
    • lo gnocco, gli gnocchi, uno gnocco
    • lo psicologo, gli psicologi, uno psicologo
    • lo pneumatico (ma ormai prevale la forma: il pneumatico)
    • lo xilofono
  • L'articolo indeterminativo un non si apostrofa mai davanti a un nome maschile iniziante con vocale: si tratta infatti di un troncamento e non di una elisione. Quindi: unuomo, unattore; e anche: nessun uomo, qualcunaltro, ecc.

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4. AGGETTIVO

È la parte variabile del discorso che si aggiunge al nome (o ad un'altra parte del discorso usata come nome, cioè sostantivata) per indicare una qualità o per darne una precisa determinazione. E infatti gli aggettivi si dividono in: QUALIFICATIVI e DETERMINATIVI. 
 

QUALIFICATIVI

Sono gli aggettivi che aggiungono al nome una qualità: bello, brutto, piccolo, grande, ecc. Hanno la loro declinazione, cioè hanno un maschile e un femminile, un singolare e un plurale, e si accordano ai nomi ai quali si aggiungono: bambino bello, bambina bella, bambini belli, bambine belle. Esistono però aggettivi che hanno una sola forma per entrambi i generi (un oggetto utile; una cosa utile), entrambi i numeri (un vestito rosa, due vestiti rosa), genere e numero insieme (conflitto impari, lotta impari, conflitti impari, lotte impari).
I gradi di qualificazione che un aggettivo qualificativo può assumere sono tre: positivo, comparativo, superlativo.

  • Positivo: un aggettivo è di grado positivo quando esprime una qualità, semplicemente, senza metterla a confronto con nessun altro termine: Carlo ègiovane.
  • Comparativo: un aggettivo è di grado comparativo quando esprime una qualità stabilendo una comparazione, un paragone, un confronto con un altro termine. Può essere di: maggioranza (Carlo è più giovane di Luigi); minoranza (Carlo è meno giovane di Luigi); uguaglianza (Carlo è giovane come Luigi).
    Il grado comparativo si forma con speciali particelle, o locuzioni correlative, che uniscono i due termini della correlazione: più ... di; meno ... di; più ... che; meno ... che; così ... come; tanto ... quanto; ecc. Il comparativo di maggioranza o di minoranza si ottiene mettendo in correlazione, rispettivamente, più o meno con la preposizione di o con la congiunzione che. Si userà sempre di (anche articolata: del, della, ecc.) davanti a un nome o ad un pronome (Carlo è più studioso di Remo; l'argento è meno prezioso dell'oro); si userà invece la congiunzione che in ogni altro caso e in particolare quando esiste una comparazione di qualità, oppure il secondo termine è un'intera proposizione: È più bello che buono; È meno prudente correre che andar piano (dunque: È meno bella che sua sorella; e NON: È meno bella di sua sorella).
  • Superlativo: un aggettivo è di grado superlativo quando esprime una qualità spinta al massimo grado (Gianni è bravissimo). Può essere:
    • Assoluto: quando esprime il grado massimo senza alcun paragone, e si ottiene aggiungendo il suffisso -issimo all'aggettivo (Antonio è bellissimo). È bene ricordare tuttavia che alcuni aggettivi richiedono il suffisso -errimo (celeberrimo, acerrimo, ecc);
    • Relativo: quando esprime il grado massimo di qualità messo però a raffronto con un altro termine. Può a sua volta essere di: maggioranza (Gianni è il più studioso dei fratelli); minoranza (Gianni è il meno studioso dei fratelli).


DETERMINATIVI

Sono gli aggettivi che aggiungono al sostantivo un preciso elemento che lo determina. Si dividono in 4 gruppi: dimostrativi, possessivi, quantitativi, numerali.

  • dimostrativi o indicativi: determinano la posizione della cosa espressa dal nome in relazione a chi parla: questo, quello; stesso, medesimo; tale, quale, siffatto, certo, ecc.
  • possessivi: determinano il possesso di una cosa: mio, tuo, suo, nostro, vostro, loro; altrui, proprio;
  • quantitativi o indefiniti: determinano una quantità indefinita di persone o cose: alcuno, altro, alquanto, altrettanto, molto, poco, tanto, troppo, tutto, ciascuno, nessuno, qualsiasi, ogni, ecc.
  • numerali: determinano una quantità precisa di persone o cose: uno, quattro, dieci, cento, mille, ecc.; primo, decimo, centesimo, ecc.; doppio, triplo, ecc.; due terzi, cinque ottavi, ecc.
È bene inoltre ricordare che:
  1. Di regola l'aggettivo concorda col nome nel genere (gatto piccolo, gattapiccola) e nel numero (gatti piccoli, gatte piccole). Ma quando l'aggettivo deve unirsi a due o più sostantivi possono presentarsi 2 possibilità:
    • i nomi sono di genere uguale: in questo caso l'aggettivo segue questo genere e sarà plurale: Gina e Carlo sono buoni; La pera e la mela sono mature; Un cane, un gatto e un gallo erano amici;
    • i nomi sono di genere diverso: in questo caso l'aggettivo è preferibile metterlo al maschile plurale: Aveva lo sguardo e la faccia stravolti; C'erano vitelli e mucche ben pasciute. Tuttavia quando i nomi si riferiscono ad animali, cose, concetti astratti, l'aggettivo si può accordare anche col genere del nome più vicino: Fiori e piante esotiche.
       
  1. Gli aggettivi bello, buono e grande non si troncano davanti alle parole che iniziano con:
    • s impura: buono scopo, grande studioso, bello spavento;
    • z: bello zaino, grande zaino, buono zaino;
    • ps: grande psichiatra.

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5. PRONOME

È la parte variabile del discorso che si usa invece del nome. I pronomi possono essere: 1) Personali; 2) Possessivi; 3) Dimostrativi; 4) Relativi; 5) Indefiniti

1) Personali

Sono i pronomi che si usano invece del nome, proprio o comune, di persona. Possono avere valore di soggetto o complemento, possono cioè indicare: a) la persona che parla; b) la persona a cui si parla; c) la persona di cui si parla.

soggetto    complemento
io            me, mi
tu            te,,ti
egli, esso    lui, lo, gli, sé, si
ella, essa    lei, la, le, sé, si
noi           noi, ce, c
voi           voi, ve, vi
essi          loro, li, sé, si
esse          loro, le, sé, si
Esaminiamo ora alcune particolarità dei pronomi personali.
  • Io e tu si usano come soggetto, quindi: Tu vai al cinema? (NON: Te vai al cinema?); me e te invece si usano come complemento oggetto (A te è piaciuto il film?), e in questo caso si uniscono al verbo senza preposizione (Vogliono me, NON: Vogliono a me).
  • Gli: vale "a lui", ma oggi si usa spesso anche nel senso di "a loro" (Se ti chiedono del denaro non gli dare un soldo), ma dove può insorgere equivoco e dovunque non appesantisca la forma è preferibile usare loro (Incontrai alcuni amici e chiesi loro se volevano venire al cinema con me). È invece un errore grossolano usare gli al posto di le (Se vedi Maria dille [e NON: digli] di venire da me), o al posto di li (Siete stati voi che li[e NON: gli] avete presi?). Va infine ricordato che gli accoppiato alle particelle lo, la, le, li, ne dà origine a: glielo, gliela, gliele, glieli, gliene.
  • si scrive con l'accento per distinguerlo da se congiunzione (e perciò quando è unito a stesso, e l'equivoco dunque non è possibile, non si accenta: se stesso).
  • La particella pronominali ne vale: di lui, di lei, di loro, di questo, di ciò. Viene usata spesso pleonasticamente (Di questo scandalo se ne è parlato fin troppo). Mi, ti, si, ci, vi, gli quando si combinano con lo, la, li, le, ne si mutano in me, te, se, ce, ve, glie.


2) Possessivi

Sono i pronomi che indicano proprietà, possesso; e sono gli stessi aggettivi possessivi: mio, tuo, suo, nostro, vostro, loro, altri, proprio, usati però invece del nome. Esempio: Dammi il mio libro (qui mio è aggettivo possessivo perché specifica una caratteristica del libro); Prendi il tuo libro e dammi il mio (qui mio è pronome perché sta al posto del sostantivo libro). 
 

3) Dimostrativi

Sono i pronomi che mostrano, indicano una persona o una cosa: questo, codesto, quello; stesso, medesimo; tale, quale; siffatto; questi, quegli (in funzione di soggetto e riferiti a persona: questi mi piace,quegli no); costui, costei, costoro; colui, colei, coloro; lo (in funzione di complemento oggetto: Tu non sei lo stesso di una volta); ne (nei complementi di specificazione: Ne vuoi ancora?); ci (nei complementi di termine: Non ci badare; Non farci caso). 
 

4) Relativi

Sono i pronomi che mettono in relazione fra loro due proposizioni: il quale (e: i quali, la quale, le quali), che, chi, cui. È bene ricordare che: 

  • Che, chi, quale, quando vengono usati nelle interrogazioni (dirette e indirette) e nelle esclamazioni al posto del nome diventano pronomi interrogativi ed esclamativi (Chi dubita di me? Che volete dire? Vorrei sapere quali preferisci. Chi si vede!
  • Che si usa sempre con valore di soggetto (L'uomo che ti parla) o di complemento oggetto (Il libro che hai letto). È sostituito da cui negli altri complementi, ma può essere usato, in questi casi, quando assume il valore di: ciò, la qual cosa (Mario disse una cosa, al che io risposi...) o allorché ha valore di quando (L'anno che nacque Leopardi = L'anno in cui nacque Leopardi
  • Cui si usa sempre con valore di complemento (Il libro di cui ti ho parlato). Inoltre: 
    • nel complemento di termine, cioè nella forma: a cui, la a si può tralasciare (La persona cuimi rivolsi = La persona a cui mi rivolsi); 
    • nel complemento di specificazione, cioè nella forma: di cui, il di si tralascia quando lo facciamo precedere dall'articolo (Questo è il ragazzo il cui padre..., NON: Questo è il ragazzo il di cui padre...); 
    • è errato usare cui nel significato di che, la qual cosa, formando il costrutto: per cui (Era stato promosso e per questo era contento, NON: Era stato promosso per cui era contento).


5) Indefiniti

Sono i pronomi che indicano persone o cose in maniera indefinita, indeterminata. Sono in gran parte aggettivi indefiniti usati al posto del nome:

Aggettivo    Pronome
alcuni alberi    alcuni ridono
gli altri libri    dillo agli altri
molti quaderni     ce ne sono molti
nessun uomo        non vedo nessuno
A questi possiamo aggiungere: uno, qualunque, ognuno, certuni, chiunque, altri (Altri penserà che io non dica il vero), niente (Niente lo commuove), nulla (Non me ne importa nulla).

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6. AVVERBIO

È quella parte del discorso che si unisce al verbo, ma anche all'aggettivo, al nome o ad un altro avverbio, per modificarne, graduarne, completarne, precisarne l'azione o il significato, e potrebbe essere tolta dal discorso senza fargli perdere tutto il suo significato. Si possono classificare gli avverbi in 8 gruppi. 

  1. di modo o maniera: rispondono alla domanda sottintesa: "come?". Sono: 
    • gli avverbi in -mente, formati dalla fusione di un aggettivo con l'ablativo latino mente (=con mente). Es.: celermente, dal latino celeri mente, alla lettera: "con mente celere". E così: distrattamente, lentamente, veramente, ecc.; 
    • gli avverbi formati da un aggettivo invariabile: forte, piano, giusto, certo, ecc. 
    • gli avverbi di derivazione latina: bene, male, ecc.; 
    • gli avverbi derivati da forme verbali o da nomi, col suffisso -oni: bocconi, ruzzoloni, carponi, tastoni, cavalcioni, ecc. 
  1. di tempo: rispondono alla domanda sottintesa: "quando?". Sono: ora, adesso, allora, ancora, prima, dopo, oggi, domani, spesso, mai, sempre, presto, tardi, ecc. 
  2. di luogo: rispondono alla domanda sottintesa: "dove, da dove?". Sono: dove, donde, sopra, sotto, vicino, lontano; qui, qua, quaggiù, quassù; lì, là, laggiù, lassù; ecc. 
  3. di quantità`: rispondono alla domanda sottintesa: "quanto?". Sono: molto, assai, poco, troppo, parecchio, abbastanza, niente, circa, appena, ecc. 
  4. di affermazione: rispondono alla domanda sottintesa: "veramente?". Sono: sì, già , certo, appunto, sicuro, sissignore, proprio, ecc. 
  5. di negazione: rispondono alla domanda sottintesa: "veramente?". Sono: no, non, né, neppure, nemmeno, neanche, nossignore, ecc. 
  6. di dubbio: rispondono alla domanda sottintesa: "davvero?". Sono: forse, probabilmente, semmai, ecc. 
  7. aggiuntivi: si dicono "aggiuntivi" perché aggiungono qualcosa al valore dell'azione. Sono: anche, ancora, altresì, pure, perfino, finanche, ecc.
Ci sono poi i modi avverbiali e le locuzioni avverbiali, che sono espressioni variabili formate: 
  • da due avverbi: or ora, pian piano, adagio adagio, ecc.
  • da due sostantivi: man mano, passo passo, terra terra, ecc.
  • da una preposizione + avverbio, aggettivo o sostantivo:
    • a + ... : a poco a poco, a vicenda, a ufo, a gara, a malapena, ecc.
    • di + ... : di corsa, di soppiatto, di palo in frasca, di nascosto, ecc.
    • in + ... : in bilico, in panciolle, in un batter d'occhio, in carne e ossa, ecc.
    • per + ... : per caso, per davvero, per certo, per tempo, ecc.

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7. PREPOSIZIONE

È la parte invariabile del discorso che si "prepone" al nome o al pronome per esprimere una relazione di dipendenza tra due termini di una stessa proposizione (Vado a Roma; Vengo da lontano; Guardare in cielo). Si distinguono in: 1) Proprie e 2) Improprie. 

1) Proprie

Sono: di, a, da, in, con, su, per, fra, tra, verso. Possono restare così, cioè semplici, o unirsi ad un articolo, diventando articolate:

semplici   articolate
a           al agli ai allo alla alle
da          dal dagli dai dallo dalla dalle
di          del degli dei dello della delle
in          nel negli nei nello nella nelle
su          sul sugli sui sullo sulla sulle


2) Improprie

Sono nomi, avverbi, aggettivi, verbi usati in funzione di proposizione. Es.: causa la pioggia; duranteil concerto; vicino a te; soprala casa; oltreil monte; senza paura; contro il muro; ecc. 

Le locuzioni prepositive nascono invece dall'unione:

  • di due preposizioni fra loro: su di noi; fra di loro, ecc.;
  • di un sostantivo con una preposizione: in mezzo a; in luogo di; in vece di; per causa di; per mezzo di; a dispetto; ecc.;
  • di un avverbio o modo avverbiale con una preposizione: al di là di; di qua da; di dietro a; accanto a; fino a; insieme con; all'infuori di; ecc.

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8. CONGIUNZIONE

È la parte invariabile del discorso che serve a congiungere fra loro gli elementi di una stessa proposizione (Giulio e Carlo vanno a scuola) o due proposizioni (Giulio va a scuola e Carlo rimane a casa). Le congiunzioni si possono classificare in: COORDINATIVE, SUBORDINATIVE, CORRELATIVE. 

COORDINATIVE

Congiungono due proposizioni simili o due parti simili della stessa proposizione. Si suddividono a loro volta in:

  • copulative: uniscono fra loro due o più termini: e (affermativa); , neppure, neanche, nemmeno (negative).
  • disgiuntive: separano gli elementi della proposizione mettendoli a volte in contrasto: o, oppure, ovvero
  • avversative: uniscono due termini opposti: ma, però, tuttavia, peraltro, eppure, pure
  • dimostrative: dimostrano, spiegano, dichiarano meglio un concetto: cioè, infatti, ossia, vale a dire
  • conclusive: uniscono due termini si cui il secondo è la conclusione del primo: dunque, quindi, pertanto, ebbene, allora.


SUBORDINATIVE

Congiungono una proposizione principale a una subordinata. Es.: Ti loderei (princ.) se tu lo meritassi (subord.); Poiché non mi stimi (subord.) preferisco rompere l'amicizia (princ.). Si suddividono in: 

  • dichiarative: servono a dichiarare, spiegare: come (Mi disse come aveva fatto), che (È meglio che tu vada a casa). Ma attenzione: Il libroche (= pronome) hai letto
  • temporali. Servono a esprimere un rapporto di tempo: quando, come, appena, mentre, finché, ecc. 
  • causali: servono a esprimere un rapporto di causa: perché, poiché, giacché, siccome, dal momento che, ecc. 
  • finali: servono ad esprimere un rapporto di fine: affinché, perché. Attenzione: Mi allontano perché(= causale) non mi piaci; ma: Te lo dico perché (= finale) tu ne tragga profitto
  • condizionali: servono ad esprimere un rapporto di condizione: se, perché, qualora, quando. Attenzione: Quando (= condizionale) uno è onesto non deve temere nulla; ma: Vieni quando (= temporale) vuoi
  • modali: servono ad esprimere un rapporto di modo, o di maniere: come, come se, siccome, comunque, quasi, ecc. Attenzione: Fa' come (= modale) ti pare; ma: Mi raccontò come (= dichiarativa) fosse stato salvato
  • consecutive: servono ad esprimere un rapporto di conseguenza: cosicché, sicché, tanto che, di modo che, che. Attenzione: Era così bella che (consecutiva) tutti la guardavano; ma: È bene che (= dichiarativa) tu parta ora
  • eccettuative: servono ad esprimere un concetto di eccettuazione: salvo, salvo che, fuorché, tranne che, ecc. 


CORRELATIVE

Congiungono due proposizioni che sono tra loro in correlazione: come ... così; tanto ... quanto; non solo ... ma anche; sebbene ... tuttavia; ecc.

Le locuzioni congiuntive, infine, sono congiunzioni formate da più parole, fuse insieme o disgiunte: nondimeno, perciò, per la qual cosa, finché, fintanto che, ogni qual volta, di modo che, nonostante che, ecc.

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9. INTERIEZIONE

È la parte invariabile del discorso che serve a esprimere un sentimento di meraviglia, noia, dolore, ecc. Attenzione però: non sono interiezioni le imitazioni di suoni o versi, cioè le onomatopee: din don, bau bau, tic tac, ecc.

Le interiezioni, o esclamazioni, si possono dividere in: semplici e composte.

  • Semplici: ah, eh, ih, oh, uh; ahi, ehi, ohi; auff, uhm; mah, boh; ecc. La lettera h ha lo scopo di indicare il prolungato suono della vocale (oh = oooo; ah = aaaa) sia di distinguerle da altri monosillabi (ah - a; oh - o, ecc.). 
  • Composte: ohimé, ahimé, orsù, suvvia, ecc. 

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